SUPERLEGA: QUALI EFFETTI COLLATERALI?
Come ogni mezzo d’informazione che si rispetti, in questi giorni il primo capoverso va dedicato a questa Super Lega.
La sensazione primaria è quella di un terreno sotto ai piedi che vien man mano sgretolandosi, lasciandoci in equilibrio precario con in mano quel senso d’affezione e di cultura sportiva che, appunto, sembra destinato a farci perdere l’equilibrio e cascare tutti insieme nel burrone, a meno che lo si lasci andare salvandosi aggrappandosi alla fune. Impossibile mediare e trovare una via di mezzo che lasci tempo di adeguarsi, se non altro perché si va verso un modello di calcio in piena aderenza alla frenetica quotidianità odierna, cioè un senso di rincorsa eterna verso chi sta un passo davanti a noi, in nome di un legittimo voler primeggiare. Legittimo, sì, ma a che prezzo? Il costo salato di smarrire in quella corsa un abito, un costume e forse una identità. Non ce n’è tempo. Bisogna solo correre e raggiungere chi sta davanti. Così i loghi vengono stravolti, gli stadi, in alcuni casi veri e propri musei della cultura europea di un intero secolo, abbattuti con la stessa leggerezza con cui nella vita quotidiana si sostituisce un’utilitaria.
Lecito, quindi, che ogni tifoseria si domandi quale sia il posto della propria squadra in questo nuovo mondo che si sta costruendo. Piazza, anzi. Piazza, termine ancor più puntuale di “squadra”, la quale allude più all’assetto organico-sportivo, mentre “piazza” tutto il contorno. Le classiche dichiarazioni di un giocatore o un allenatore accostati al Catania durante le sessioni di mercato, che per prima cosa parlano di questa Piazza. Termine inclusivo, vero e proprio gergo calcistico, capace di chiamare in causa ogni singolo tifoso, ogni singolo centimetro della città, e ogni singolo urlo che la domenica infuoca i pomeriggi al “Massimino”, e che restano impresse negli occhi degli avversari. Un semplice termine che da un senso di fortissima identità al tifoso.
Chissà, magari questa Super Lega non avrà alcuna implicazione per squadre come Catania, o delle cosiddette “provinciali”. Un effetto però l’ha già avuto, riunendo sotto un’unica voce tutte le tifoserie, anche fra quelle che storicamente non hanno mai avuto rapporti cordialissimi. Così, i tifosi dell’Atalanta, ad esempio, senza troppi grattacapi vorrebbero augurare in bocca al lupo ai club di Super Lega, così da riunire in Serie A le cosiddette piazze “minori”, elencando fra queste anche il Catania.
Al di là di tutto, fa sempre piacere essere riconosciuti come Piazza da serie A in giro per l’Italia. Il sapere che il Catania c’è ancora per tutti, che non ci si è dimenticati dei capolavori di Mascara, di quelle trasferte amare perfino per una Inter prossima a scalare l‘Europa. Ecco, questo fa piacere, e rende ancor più l’idea di come questo non sia solo uno sport fra squadre, e che la passione fra tifosi è il più alto veicolo di diffusione e di linfa vitale che distingue il calcio da tanti altri sport. Negare la possibilità di creare un senso di identità al tifoso, equivale a trasformare la Piazza a semplice squadre, con tutte le conseguenze del caso.
Gabriele Di Mauro