TARANTO E CATANIA: STORIA DI UNA RIVALITÀ E OLTRE
Corsi e ricorsi storici. Taranto e Catania di nuovo, l’una di fronte all’altra. Non una partita, non una rivalità sportiva esistente che dura da tempo, ma qualcosa di più. Ebbene, nonostante nei giorni scorsi le due società avevano firmato un comunicato congiunto al fine di responsabilizzare le due tifoserie, proprio ieri sera sono arrivate le disposizioni ufficiali determinate dal Casms. La trasferta è stata vietata alla tifoseria rossazzurra per una di quelle sfide che sono ritenute ad altissimo rischio. Le ragioni, ovviamente, sono di ordine pubblico ed in più è stato imposto il divieto di vendita per i residenti nella regione Sicilia, anche se possessori della tessera del tifoso Calcio Catania.
Pertanto il settore ospiti dello stadio “Iacovone”, domenica sera resterà tristemente vuoto. Ennesima sconfitta di un calcio malato che trova conforto nelle misure di sicurezza esasperate. Alla radice di tutto, vi è un rapporto di contrasto che dura da moltissimi anni tra le due piazze. La scintilla che alimentò il fuoco, risale alla partita del girone d’andata tra le due compagini, stagione 2001/2002. L’anno della storica promozione in B targata Graziani-Pellegrino. In quel caso, la massiccia tifoseria catanese riempiva il settore ospiti dello stadio di Taranto, proprio di fronte alla curva pugliese che all’improvviso espose uno striscione. La lettura colpì non il mondo degli ultras, bensì un’intera identità cittadina. Un’offesa gratuita, insensata, una provocazione forte che per molte settimane fece scalpore ai piedi del vulcano. Perché offendere in modo così volgare Sant’Agata, patrona della città? Non era mai successo e soprattutto nessuno se lo sarebbe mai aspettato.
In quell’occasione, gli ultras rossazzurri non caddero nella trappola, anzi, risposero con l’arma migliore, quella che lascia interdetti: l’ironia e l’irriverenza, caratteristica principale del modus operandi “macca liotru”. L’eco di quell’offesa fu immenso, l’indignazione superò di gran lunga il confine del mondo ultras. La curva aspettò ansiosamente il giorno della partita di ritorno da disputare al “Massimino” e preparò una coreografia basata tutta sulla storia del quartiere San Berillo. “Giovanna a’tarantina”, “Rossana a’tarantina”, “Pina a’tarantina” e così via, fino a riempire l’intera Curva Nord di striscioni. Era il modo con cui venivano riconosciute le donne che praticavano il mestiere più vecchio del mondo a San Berillo, attraverso la loro provenienza. Al vecchio “Cibali” inizialmente, lo stupore prese il sopravvento, qualche secondo dopo l’intero stadio esplose in un fragoroso applauso seguito dal classico coro “Chi non salta è tarantino”.
Di lì a poche settimane si disputarono i play off che portarono il Catania di Baronchelli, Fini e Cicconi (terzo in classifica) all’attesissima promozione in Serie B. L’ironia della sorte, volle che in finale arrivò proprio il Taranto posizionatosi secondo. Così, se nel girone di ritorno la tifoseria etnea vinse attraverso il sarcasmo sugli spalti, durante gli spareggi, la squadra etnea vinse sul campo regalando ai propri sostenitori la tanto attesa Serie B. Una categoria che aspettava da ben quindici anni. Apoteosi dell’uno a zero con eurogol di Fini al “Massimino” nella finale d’andata. Zero a zero pieno di tensione nella finale di ritorno a Taranto. La “vendetta sportiva” fu servita su un piatto d’argento e la gioia etnea esplose per tutte le vie della città. 9 giugno 2002: l’indimenticabile finale di Taranto: una storia che i nonni racconteranno ai nipoti. E quelle B al centro del campo di Taranto ancora le ricordiamo bene. N.O.P.A.Q.U.I.E.
Marco Zappalà