TI RICORDO ANCORA – CON UN BESO MUCHO LOCO

È vero che chi gioca la palla di sinistro sia molto più capace di chi invece non lo fa? Non lo so, di certo non si tratta di una legge assoluta nel calcio, però vedendo giocatori così in campo, è plausibile che questa domanda si trasmuti in una tesi assolutamente da convalidare.

Sapete, quando una squadra viene promossa in massima serie, è chiaro che l’obiettivo primario sia quello di vendere cara la pelle pur di mantenere la categoria. Ecco perché ci si affida al giusto mix fra gente d’esperienza e giovani pronti ad emergere. Soprattutto è importante avere una rosa al completo, coperta il più possibile in tutti i reparti.

Lì sulla fascia sinistra la coppia di terzini era composta da Falsini e Vargas. Sì, perché il Catania del primo anno di Serie A aveva preso giocatori che io fino a quel momento avevo visto soltanto sull’album delle figurine Panini. E mentre Falsini lo conoscevo benissimo, perché a me piacevano da matti tutti quei gregari che giocavano nelle pericolanti, ecco che invece Vargas non l’avevo mai visto da nessuna parte, difatti alla notizia del suo arrivo credevo che potesse essere Jorge, il difensore del Livorno, che però era cileno e mica peruviano come Juan Manuel.

Sicuramente ai tempi ero ancora troppo ingenuo: senza nemmeno dargli la possibilità di farsi conoscere, rimasi subito immensamente deluso perché non era il giocatore a cui avevo pensato io. Senza considerare però che El Loco fosse molto più forte di quello lì. Di gran lunga più forte.

Non giocò da subito, perché almeno all’inizio doveva fare la riserva di Falsini, tant’è che le prime cinque giornate non vide il campo nemmeno per sbaglio. Poi però il destino bussò inesorabilmente alla sua porta: infortunio del terzino titolare e Pasquale Marino non rinunciò più a lui. Da quel momento infatti il Catania cambiò completamente modo di giocare sulla catena di sinistra. Vargas era chiaramente l’opposto di Falsini: tecnica sopraffina, potenza fisica straripante e un piede da paura. Come accompagnava e supportava lui l’azione offensiva poi… sicuramente a Catania è stato l’unico.

Era evidentemente un esterno di spinta, tant’è che dava l’idea di essere assolutamente sprecato quando veniva vincolato a compiti difensivi: tutte le volte che partiva in progressione, praticamente gli avversari prima dovevano farsi il segno della croce e poi potevano cominciare a rincorrerlo, senza prenderlo mai ovviamente. Addirittura nel campionato successivo Walter Zenga decise di utilizzarlo esclusivamente in avanti, schierandolo nel tridente d’attacco, libero di spaziare in lungo e in largo perché aveva le spalle ben coperte dal buon Rocco Sabato. A quel punto ogni difensore che doveva marcarlo era costretto a tremare.

Il percorso di Vargas con la maglia rossazzurra indosso non è stato un semplice cammino, ma possiamo definirlo come una corsa veloce, intensa ed esplosiva proprio come faceva ogni partita che disputava fuori e dentro il “Massimino”. Aveva una capacità singolare di raggiungere il fondo del campo, così da disegnare sempre uno spiovente forte e teso verso il centro dell’area di rigore. Spesso dai suoi piedi giungevano palloni precisi e calibrati, ma anche potenti, la cui direzione doveva essere semplicemente corretta in rete da qualche compagno di squadra, perché tanto ormai il grosso dell’azione era già stato fatto da lui.

Certi assist restano inamovibilmente impressi nella memoria a distanza di tanti anni. Per esempio c’era Spinesi che da pisano convinto voleva assolutamente segnare contro il Livorno, così il peruviano gli concesse questo privilegio sparandogli sui piedi un diagonale da girare verso la porta senza troppi ragionamenti di sorta. Oppure nello storico scontro salvezza contro il Chievo alla fine di quella stagione tanto indimenticabile quanto travagliata, fu proprio lui a permettere ai suoi di chiudere definitivamente i giochi servendo il cross vincente per Minelli direttamente da calcio di punizione. Ma senza ombra di dubbio il servizio più bello fu confezionato da Vargas nel torneo successivo contro il Milan in casa. Fu ancora Spinesi in quell’occasione a ringraziare il suo compare per la palla perfetta che aveva dovuto soltanto incapocchiare per bene alle spalle del portiere: dal suo sinistro infatti partì un traversone che tagliò tutta l’area, indirizzato col contagiri sulla testa del Gabbiano, peraltro impossibile da leggere per tutti i difensori che popolavano quella porzione di campo.

Già, Vargas e Spinesi, che coppia da brividi in campo, anche se a quanto pare costituivano insieme anche una specie di coppia di fatto. Generò molto scalpore l’insolita esultanza da “Un amore così grande” col bacio sulla bocca fra di loro ogni volta che uno dei due trovava la via della rete. Esatto, perché prima abbiamo detto Milan, ora abbiamo scritto rete e quindi la mente non può ritrarsi al ricordo di quel gol magnifico in Coppa Italia: parabola inimitabile di Mascara dal corner di destra e mancino al volo a dir poco devastante che lasciò tutti in visibilio. Sicuramente una delle realizzazioni più belle che si siano mai viste al Cibali da quando è stato edificato.

Un’altra meraviglia poi fu la perla di Siena: Catania come sempre in difficoltà in trasferta ed obbligato a rincorrere i padroni di casa, ma ci pensò proprio Vargas a ristabilire la parità con un tiro rasoterra, preciso e letale, indirizzato verso il secondo palo direttamente dalla trequarti di campo. Letteralmente imprendibile, proprio come quella marcatura siglata ad Udine, quando c’era Izco a scodellare sul lato opposto al suo e Juan Manuel fracassò la porta di prima intenzione con un altro gesto balistico affatto indifferente.

Aveva un fucile a canne mozze al posto del piede mancino. Se doveva calciare allora erano guai certi per chi aveva il compito di parare il pallone. A Firenze esplose ancora una bomba delle sue: sugli sviluppi di un calcio d’angolo respinto dalla difesa, fu servito al limite dell’area e spaccò la rete senza tentennare nemmeno per un secondo. La cosa più bella è che i portieri nemmeno vedevano partire la palla: sentivano esultare i giocatori rossazzurri, poi si voltavano alle loro spalle e la trovavano lì ad aspettarli ormai dietro la linea di porta.

Non esisteva alcun modo per sfuggire al pericolo. Se lui aveva già deciso di lanciare un missile, allora si riduceva tutto a mera questione di attimi. Indimenticabile a proposito fu Catania-Napoli, il giorno dell’esordio di Zenga sulla panchina etnea. Partita perfetta, conclusa sul 3-0 e ovviamente anche quella volta il punto esclamativo fu apposto dal tornante ormai promosso ad ala implacabile: calcio d’angolo, sfera che finì sul suo sinistro, mancò la prima battuta e caparbiamente ci riprovò da fermo subito dopo, centrando senza ulteriori indugi il sette. Esito inevitabilmente scontato.

Era semplicemente fatale in tutte quelle circostanze, concetto di fluidificante per eccellenza nel mondo del pallone. Accendeva il turbo, saltava l’uomo, prendeva la mira e scaricava il siluro. Alla fine doveva soltanto scegliere se dare un bacio a Spinesi oppure se raggiungere la bandierina, rivestirla con la sua maglietta e spararsi un colpo in testa per poi capitolare a terra ed essere sommerso dall’abbraccio dei compagni. Nel frattempo noi festeggiavamo in tribuna ripensando a quello che avevamo visto fargli poco prima. In quei momenti eravamo incontenibili, perché quelle giocate non facevano altro che mandarci in estasi. Ci potevano prendere pure per pazzi sì… pazzi per El Loco!

Federico Fasone

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