MARIANO E MARCO, DUE DESTINI CHE SI UNISCONO

 “Manu, mi hanno venduto al Chievo. Io non voglio andare, voglio stare a Catania”. Diceva così Mariano, il ragazzo di Buenos Aires, alla moglie Emanuela. Era la calda estate del 2014, l’inizio della fine per la formazione a tinte rossazzurre, appena sprofondata in Serie B e, di lì a poco, destinata a incalanarsi verso un tunnel oscuro senza via d’uscita alcuna.
“Mbare Mariano” – come ama sentirsi chiamare  –  arrivato nel 2006 ai piedi dell’Etna a fari spenti dal San Telmo, team semisconosciuto della periferia della capitale albiceleste, non ne voleva sapere di abbandonare quella che era diventata casa sua. Il club che lo aveva accolto, giovane talento 23enne al primo viaggio intercontinentale della vita, e fatto crescere con cura e amore. Passo dopo passo, gara dopo gara, correggendo con il dono della fiducia e dell’ostinazione quei difetti tecnici che avevano fatto storcere inizialmente il naso al palato fine del “Massimino” in formato Serie A.
8 anni, 235 presenze, 7 gol ed una fascia di capitano al braccio meritatamente conquistata, tuttavia, vennero sacrificati sull’altare del mero guadagno economico da parte di una dirigenza che, per i fatti noti che seguirono, s’impose come la più scellerata della storia del club.

Chi, a Catania e col Catania è sempre rimasto, invece, si chiama Marco. Il figliol prodigo, pescato tra le nubi della C a poco più di vent’anni, divenuto simbolo dell’Elefante che lotta sul prato verde contro ogni avversità.
Cacciato in modo subdolo e meschino, d’improvviso, nel 2013, salvo poi ritornare appena 3 stagioni più in là per provare a trascinare fuori dalle sabbie mobili la squadra del suo cuore .
Amore puro, viscerale, infinito. Mettendo sempre la gamba e la faccia. Sempre, nelle vittorie e nelle sconfitte, anche dopo disfatte atroci come quella di Monopoli.

Oggi, 9 settembre 2020, i destini di questi due indomiti guerrieri, involontariamente, sono venuti a intrecciarsi. Mariano Izco è pronto a riabbracciare la terra dell’Etna, vicinissimo a saggiare nuovamente il manto erboso del vecchio Cibali.
Marco Biagianti, al contrario, è distante, lontano, quasi sparito dai radar della Sigi, nuova proprietaria del Catania dopo la fine dell’era Pulvirenti. Silenzio, cupo e tremendamente assordante.

Detto ciò, la domanda, a questo punto, sorge sponteanea nella piazza che mormora: perché questa scelta? Perché aver ripreso l’amatissimo argentino dopo non aver rinnovato il contratto all’eterno 27? Perché puntare soltanto su uno di essi e non giovarsi dell’esperienza di entrambi per costruire un gruppo in grado di sfoderare una stagione di altissimo livello? Al campo, come sempre, l’ardua sentenza.

Mariano e Marco. Due uomini, due capitani, due bandiere. Uniti, in modo crudele e beffardo, da una sorte che sembra prendersi gioco dei sentimenti del popolo etneo…

Daniele D’Alessandro

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