IO SONO MATTEO
“Uno a uno.” È stata la reazione avvertita Domenica scorsa non al minuto 21, ma già al 2′, quando Baclet imbucava la difesa rossazzurra battendo a rete Martinez. Stavamo uno a uno perché c’era una certezza che attraversava quel soleggiato ma ventilato pomeriggio siciliano, che questa domenica, questa volta, era solo questione di tempo per il gol di Matteo Di Piazza.
Del perché di questa accentuata sicurezza, c’è tutta una storia dietro, che inizia il 1 gennaio del 1988, ed è proprio la storia del numero 33. La narrativa calcistica e sportiva, ma non solo, accorre in soccorso, raccontando di numerosi volti anche dai caratteri forti ed a tratti fumantini, come ad esempio quello del compianto Frank Vandenbroucke, sublime ciclista a cavallo fra gli anni ’90 e ’00, presente nel personale corredo degli eroi d’infanzia di tanti, nonostante un carattere che lo portò a tutt’altro genere di eccessi e guai.
Ma il punto è che, perfino un atleta di questi riusciva quantomeno a dividere: un solco nel terreno fra chi ne criticava puntualmente gli eccessi, e chi, invece, ne veniva rapito forse da una sorta di fascino da poeta maledetto. Differentemente, nel caso del centravanti rossazzurro, non c’è mai stata questa spaccatura che nel linguaggio attuale potrebbe definirsi come la contrapposizione fra “haters” e “fan”, i quali comunque traggono origine da una base di empatia.
Per Di Piazza no. La sensazione perenne di un calciatore sempre messo alla prova, quasi che dagli spalti si stesse ad attendere la prima prestazione incolore, il primo errore sotto porta, per far alzare un polverone, e far dimenticare in un amen tutti i gol pesanti e il valore aggiunto dato alla squadra. Null’altro sarebbe più contato. Una sorta di bilancia ad unica misura, collettiva ed unidirezionale verso un loop sommario ma inoppugnabile visto e rivisto: “eccolo, il solito Di Piazza.”
A ciò si aggiunga un carattere privo di filtri, una sincerità a tratti asciutta, a tratti ingenua e lontana da ogni sforzo di facile compiacenza o ruffianismo, che hanno forse messo in ombra l’emotività di un ragazzo che, invece, di senso di appartenenza ne ha più di quanto dimostri; una provenienza geografica, Partinico, vicina ai colori dei cugini rosanero, poi, ha complicato in origine la possibilità di fare nascere un legame forte con la tifoseria catanese, che magari non ha digerito alcune dichiarazioni rilasciate ai tempi in cui Di Piazza vestiva la maglia del Lecce, vincendovi pure il campionato, dove a farne le spese fu l’allora Catania di Lucarelli.
A torto o ragione, a Matteo Di Piazza si è sempre fatto il cosiddetto “pelo e contropelo”, uno dei primi, se non il primo, a cui si punta il dito: perfino nell’estate del 2019, dopo la sua prima “mezza” stagione a Catania, dove riuscì a ben figurare soprattutto nelle gare decisive dei playoff con 3 reti in 5 partite, in mezzo a situazioni tecniche tutt’altro che serene, che videro avvicendarsi in panchina Sottil e Novellino, poi nuovamente Sottil. A proposito di quei playoff, come dimenticare quella corsa forsennata sotto la curva dopo la rete-qualificazione proprio contro il Potenza? Alla faccia di chi gli nega emotività e senso di appartenza.
È così tutta la carriera di un bomber di razza a cui in tanti invidiano le qualità tecniche. Qualcuno azzarda senza tanti fronzoli che avrebbe anche potuto fare la Serie A, o che quantomeno abbia poco a che vedere con la lega Pro.
Una carriera, una storia, un nome sempre seguito da un “ma”. “Sì, Di Piazza, ma..”. Una storia dalle molteplici colonne sonore, che potrebbero andare da “I get knocked down” dei Chumbawamba, a qualche brano dei Simple Plan, come “Welcome to my life”o “Me against the world”. Una carriera segnata da un leitmotiv, anche in questa terza “mezza” stagione in rossazzurro, fedele al copione originale: Di Piazza che arriva (torna in questo caso), con un alone generale di scetticismo, trovandosi per di più a raccogliere l’eredità di un Emanuele Pecorino catanese doc; poi un Di Piazza che riesce a ribaltare le critiche in applausi, per poi attrarle di nuovo alle prime uscite senza siglare il tabellino dei marcatori.
Quindi un Di Piazza all’ultima spiaggia, punzecchiato (e stimolato) anche dal nuovo tecnico Baldini, che settimane fa aveva lamentato qualche allenamento sottotono, e che si trova ad un passo da una inesorabile anonimato.
Una condanna del destino a ritagliarsi il ruolo dell’underdog, di chi è pronto a raccogliere la critica dimostrando a tutti di essersi sbagliati. Lo stesso destino che da indirettamente una mano costringendo ai box due competitors di reparto attualmente più avanti nelle gerarchie.
Ecco perché domenica Allan Pierre Baclet ha fatto al massimo 1-1, e perché quel rimpallo al minuto 21 era scritto che Di Piazza l’avrebbe vinto scagliando poi un siluro alle spalle di Marcone lasciandosi andare ad un urlo liberatorio che è voce di tutti quelli che un po’ Matteo Di Piazza si ci sentono pure.
Un forte messaggio di speranza a tutti loro, che c’è sempre una “shot at redemption”, quell’occasione di riscatto che il duro lavoro, all fine, ti concede. E per lo stesso motivo al minuto 56, quel numero 33 si sarebbe trovato esattamente in quel punto, pronto ad appoggiare a rete un gol facile facile, ma che pesa dannatamente tanto.
Un bellissimo applauso al momento della sostituzione, ricambiato dai presenti in tribuna, seguito da un lungo abbraccio col mister.
Peccato che non ci fosse tutto lo stadio a dirtelo: Bravo, Matteo.
Gabriele Di Mauro
(Fonte Immagine originale: calciocatania.it)