TI RICORDO ANCORA – IL PUFFO PIÙ BRAVO DEL MONDO
Mi hanno detto che il puffo più bravo del mondo non possa esistere per il puro e semplice fatto che quegli esserini blu in realtà siano tutti bravi alla stessa maniera. Permettetemi di dissentire, perché evidentemente chi sostiene ciò non ha mai avuto il privilegio di veder giocare il Pitu dal vivo. È proprio lui il motivo per cui bisogna convincersi che un artista non debba avere per forza un pennello od un microfono in mano per emozionare gli altri, quando invece gli basta semplicemente un pallone fra i piedi.
Estro, classe, fantasia: elementi concentrati in un solo individuo, mediamente alto, piuttosto mingherlino, ma con un sinistro da favola. Quel tocco estremamente delicato ad accarezzare la sfera con la parte esterna del piede, scandito da passi brevi e cadenzati, per poi piroettare sulla stessa con la danza del corpo. Durante la stesura del testo è come se rivedessi Barrientos destreggiarsi in mezzo a quei poveri disgraziati dei suoi avversari che non lo prendevano mai. La palla c’era e poi spariva, nascosta dai movimenti sinuosi delle sue gambe. Sono certo che si trattasse di un trucco di magia, perché in qualche centesimo di secondo i compagni di squadra potevano già involarsi verso la porta, indirizzati a rete da un lancio millimetrico dell’argentino.
Genoa-Catania 0-2, estrema sintesi dell’essenza di un giocatore a dir poco sublime, autore di uno show senza precedenti. Imprescindibile per le catene di gioco, punto di congiunzione astrale fra muraglia difensiva e falange d’assalto. Riceve, dirige e rifinisce. Smista se necessario, ma si ferma pure a riflettere un attimo quando occorre, poi si volta dalla parte opposta e infine serve chirurgicamente la palla a chi s’inserisce, sempre col contagiri attivato. La cosa incredibile è che lo faccia senza neanche guardare chi si propone, già conosce la porzione di campo verso cui spedire il pallone e lo dà in consegna a chi puntualmente si trova davanti al portiere. Apre le danze immediatamente, con un traversone che taglia il campo per almeno quaranta metri, così Gomez è già a tu per tu con Frey e deve semplicemente limitarsi ad assistere Bergessio, che indisturbato deposita in rete senza problemi. Occhi a cuoricino per quella giocata stratosferica, manco il tempo di cominciare. E poi? Altra prelibatezza per le iridi di chi lo sta a mirare, quasi allo scadere del tempo regolamentare, giusto per regalare un gran finale ai suoi fieri spettatori: viene pescato da Izco e completamente defilato piazza la palla a fil di palo, quello più lontano. Sinistro morbido eppur letale, gol all’angolino che dona innumerevoli sorrisi.
Rendeva tutto facile, anche quando di semplice non c’era niente. Forse anche questo rientra nel concetto di bellezza, qualità capace di appagare l’animo attraverso i sensi, divenendo oggetto di prolungata contemplazione. Soltanto lui sapeva come mandare in visibilio i tifosi, che una volta tornati a casa erano obbligati a guardare e riguardare più volte quel determinato passaggio, quel cross illuminante oppure quel singolo movimento durante l’azione. Per non parlare delle sue reti poi…
C’è un gol che bussa insistentemente alla stanza dei ricordi. 26 novembre 2011, “Via del Mare” di Lecce, partita combattuta e pareggio che sta parecchio stretto. Tutti ormai alquanto rassegnati allo 0-0 finale, ma nessuno sapeva ancora che qualcuno fosse in grado di incantare la platea. Ci pensò Pablo a far qualcosa d’incredibile, impossibile persino da immaginare per le persone normali. Ammaestrò la sfera poco dopo il centrocampo, puntò inesorabilmente un difensore in modo da sbarazzarsene con un gioco di gambe tutt’ora indecifrabile e disegnò d’esterno una traiettoria inverosimile col mirino impostato sul secondo palo. Un’opera d’arte d’inestimabile valore, capace di generare emozioni uniche. Ah, ma ho detto pure che quella fosse la sua prima marcatura in Italia? Insomma, roba di poco conto come biglietto da visita.
Decisamente cantava ogni palla che partiva dai suoi piedi. Si sentiva la musica quando calciava, soffiava una leggera brezza tutte le volte che effettuava un cambio di gioco. In pratica il tragitto del pallone aveva qualcosa di ammaliante e d’imprevedibile allo stesso tempo. Ne è un esempio quella rete meravigliosa alla Juventus, in casa dei bianconeri: Motta sfrutta un errore nel disimpegno e anticipa il difensore in uscita, così lascia la sfera al Pitu, che si gira con un’eleganza disarmante e poi disegna una parabola che manda Buffon a bestemmiare, convinto di aver letto la direzione del tiro e invece beffato malamente.
Eppur c’è poco da sorprendersi. D’altronde cosa c’era da aspettarsi da uno che obbligava tale Lionel Messi a fare panchina nelle giovanili? Peccato per quel ginocchio di burro, chissà che cosa sarebbe stato, ma almeno l’abbiamo visto a Catania e ci riteniamo molto fortunati per questo.
Leggiadra armonia, espressione compiuta di
calcio. Faceva sognare ogni bambino e non solo quelli di qui. È proprio vero: un calciatore così bravo che aveva il potere di far innamorare chiunque incappasse nelle sue giocate, a partire dai più piccoli. Davvero emozionante vedere un cucciolo d’uomo indossare la sua indimenticabile 28 mentre giocava in piazza coi suoi amichetti, peraltro in una Modena qualsiasi d’Italia. Perché Barrientos andava oltre i confini del territorio e dell’immaginazione, superava ogni ostacolo e rivalità. Barrientos era il calcio sublimato a poesia e perciò poteva essere l’idolo di tutti. E noi gli resteremo eternamente grati per questo.
Federico Fasone