TI RICORDO ANCORA – RONALDO È GIAPPONESE
Da piccolo tenevo un quadernone ad anelli a cui potevo aggiungere tutte le pagine che volevo. Ricordo che Morimoto entrò a farne parte praticamente subito, perché in realtà avevo già la fissa per i giapponesi. Mi piacevano tanto i giocatori con gli occhi a mandorla, ho avuto sempre una certa simpatia per loro, li trovavo particolari, avevano tutti dei cognomi divertenti e soprattutto conoscevano il valore dell’umiltà. Stavano in silenzio e lavoravano, non solo perché non riuscivano a dire una parola in italiano, sia ben chiaro. Tra l’altro erano bravi a far sognare i tifosi, che molto spesso li reputavano mascotte della loro squadra del cuore e quindi se facevano qualcosa di buono erano immediatamente pronti a festeggiarli. Prendiamo Nakata e Nakamura per esempio, onestamente erano i miei preferiti: giocavano per la squadra, s’impegnavano con costanza in campo e poi segnavano pure gol pesanti. Così quando il Catania fu promosso in Serie A e Lo Monaco decise di portare qualcuno dall’Oriente in Sicilia, personalmente mi entusiasmai molto.
Inutile aggiungere che l’esordio di Takayuki con la maglia rossazzurra fu da mozzare il fiato. Non che ce ne fosse di bisogno, intendiamoci, però quel gol al debutto rese tutto dannatamente poetico. Pasquale Marino lo chiamò dalla panchina a qualche minuto dalla fine e lo mandò in campo come extrema ratio. L’Atalanta era in vantaggio e non si potevano perdere punti importanti in ottica salvezza, quindi arrivati lì mica c’era molto altro da fare. Il ragazzino di 18 anni venuto dall’altra parte del mondo, chi se lo doveva aspettare, eppure quando succedono certe cose poi il più delle volte i sogni finiscono per avverarsi: cross in mezzo di Baiocco, Taka resiste alla carica di quel colosso di Carrozzieri e batte a rete senza indugio alcuno. Pareggio al fotofinish, corsa folle verso i compagni in panchina, sguardo incredulo di chi ha già scritto una pagina di storia.
Morimoto era il bambolotto di quel gruppo, gli volevano tutti bene ed effettivamente era impossibile il contrario. Non era soltanto giovane, ma pareva alquanto ingenuo e poi capiva poco l’italiano, perciò i senatori ci scherzavano sopra, mentre lui sapeva solo rispondere che pensava a mangiare. Ciononostante era magrolino, ma in campo andava spedito spedito. Di certo non era un campione, figuriamoci, però prometteva davvero bene per il futuro. Quel biglietto da visita d’altronde mica era solo frutto di un caso.
Nel campionato successivo fu lui ad aprire i giochi, tanto per restare in tema di presentazioni. Anche quella volta si trattò di un pareggio, a Parma per l’esattezza. Quel pomeriggio fu Morimoto show: destro a giro sotto l’incrocio per portare in vantaggio i suoi e poi assist vincente per capitan Baiocco così da recuperare la rimonta dei padroni di casa. Non lo so, ma tutte le volte che faceva gol di colpo diventavamo tutti felici. Sì, quel ragazzo era un portatore sano di allegria.
A proposito, ci rese davvero contenti un’altra volta nella stessa stagione, precisamente al ritorno dei quarti di finale di Coppa Italia contro l’Udinese. I rossazzurri erano alla ricerca del gol che avrebbe consegnato il pass per la semifinale, così quasi allo scadere ci pensò ancora il nipponico a donare felicità sugli spalti: traversone a mezz’aria del Loco, inserimento perfetto e anticipo sul portiere. Impresa compiuta.
Pelata, apparecchio e “tiro della formica” come ci piaceva chiamarlo. Molto spesso calciava di punta, una cosa usuale più per il calcio a 5, che spesso però gliela vedevamo fare quand’era in campo. Gestione Giampaolo, gol in casa contro la Juventus: pallone che restò al centro dell’area e sinistro sbucciato all’angolino che passò di poco dietro la nuca di Fabio Grosso. Oppure ancora prima a Bologna, quando buttò la palla sotto il sette di puro e semplice istinto, scaraventandola di mero alluce dentro la porta avversaria.
Denominammo le sue giocate come “takayukate”, infatti le invocavamo spesso a gran voce mentre aspettavamo che spuntasse all’improvviso per gonfiare la rete. A volte era un po’ sgraziato nei movimenti, ma era un attaccante, non doveva per forza risultare bellissimo agli occhi degli altri. Pensate che dalle parti della capitale, quando lo sentono nominare, sostengono ancora che lui abbia segnato più gol alla Roma che in tutta la Serie A. Non si può di certo scordare la sua doppietta con Zenga allenatore, quando stese i lupacchiotti prima su lancio al bacio di Tedesco e poi capitalizzando un passaggio di Biagianti in spizzata di testa. Poi al ritorno segnò all’Olimpico per ripetersi ancora in casa l’anno dopo. Insomma, quando si trattava di Morimoto, i giallorossi erano dei poveri sfigati.
Diciamocelo chiaramente: il nome di un giocatore così allegorico non poteva non apparire fra i marcatori del derby del secolo. 1 marzo 2009, giorno in cui si vinse 0-4 a domicilio contro il Palermo. Domenica scolpita per sempre nei nostri cuori, mentre in quella partita era il giapponese a sembrare il più in forma di tutti: assist perfetto per la testa di Ledesma, rete dello 0-2 sfruttando la parabola ascendente di Carboni dalla linea mediana e poi sponda di testa per il gol della vita di Mascara, direttamente da centrocampo, ma in verità questo lo sapete già. Se poi aggiungiamo che fu lui a rimediare l’espulsione di Bresciano dal rettangolo verde, peraltro senza nemmeno rimetterci una gamba, allora possiamo tranquillamente affermare che Takayuki fosse decisamente in stato di grazia. Semplicemente fondamentale quella volta.
C’è anche quel gol in casa segnato al Napoli per il record di punti: cross di Capuano e deviazione di testa imprendibile per l’estremo difensore avversario. Gol da centravanti vero, un piacere anche per gli occhi, bisogna ammetterlo. Così come quello siglato sempre al “Massimino” l’anno dopo contro il Bari: serpentina di Izco che lo servì proficuamente e tiro quasi in caduta pur di far esplodere lo stadio. Perché lui ci teneva a quella maglia, eccome se ci teneva. D’altronde ce lo coccolavamo tutto il tempo proprio per questo motivo.
In patria veniva considerato come il Ronaldo del Sol Levante. Certo, era un paragone abbastanza azzardato e colorito, però tutto questo contribuì ad esaltare la piazza quando finalmente un nipponico sbarcò a Catania per la prima volta. Beh, io credo che proprio Takayuki sia riuscito a ritagliarsi un posto nel libro dei ricordi di chi ha a cuore le sorti di questa squadra di pallone, tanto bella e dannata come la città che rappresenta. Perciò è inutile negarlo o addirittura contestarlo, perché per noi catanesi Ronaldo ha il numero 15 sulla schiena ed è di nazionalità giapponese. Del resto non potrebbe mai essere altrimenti: Morimoto è pur sempre Morimoto.
Federico Fasone