TI RICORDO ANCORA – LUNGA VITA AL RE

Il primo acquisto in assoluto della Serie A fu Giorgio Corona. Che cosa curiosa: proveniva dal Catanzaro, neoretrocesso in Serie C1, e non aveva mai giocato nel massimo campionato italiano; aveva 32 anni ed era pure nato a Palermo. Insomma, c’erano tutte le premesse perché la sua avventura potesse risultare un disastro a Catania, eppure non fu per niente così.

Difatti già alla prima giornata mostrò la linguaccia ai suoi detrattori. Un gol bellissimo a Cagliari, con un destro al volo da fuori area, fulminando repentinamente Chimenti. Che magia fu quella lì, domenica da sogno dopo ventitré anni di astinenza dall’ultima volta, subito archiviata con tre meravigliosi punti in cascina. Una goduria vera e propria per chi non avesse mai visto la propria squadra del cuore giocare nel calcio che conta.

Corona continuò ad essere il migliore dei suoi anche alla seconda giornata, in casa contro l’Atalanta. Se doveste cercare su YouTube, allora trovereste sicuramente quel video in cui lui fece ammattire la difesa bergamasca in lungo e in largo dal primo all’ultimo minuto. Giochi di prestigio, finte di corpo, palleggi in corsa e cambi di passo che cominciarono a farci innamorare delle sue spiccate doti tecniche. Tra l’altro aveva già lanciato la moda del pantaloncino rialzato soltanto su una coscia, una cosa eclettica per un giocatore che aveva qualcosa di particolare soltanto a guardarlo.

Era uno che sapeva il fatto suo e che si sbizzarriva sul campo come gli veniva meglio fare, cercando e trovando numeri da capogiro. Terza giornata, derby al “Barbera”, solito gioco di gambe con tanto di finte a rientrare e pallone piazzato alle spalle del malcapitato Agliardi. Un palermitano che segnò alla squadra della sua città indossando la maglia degli storici rivali, direttamente a domicilio per giunta. Certe cose mica si possono dimenticare, suvvia.

Ci ha regalato grandi emozioni in partite completamente folli. Come accadde quel pomeriggio in cui il Catania affrontò al “Massimino” un Livorno parecchio ostico. Vittoria in rimonta col gol del 3-2 definitivo siglato proprio da Re Giorgio. Spinesi sparò sui guantoni di Amelia, poi la palla rimase in mezzo all’area di rigore, ma il nove riuscì a toccarla quel tanto che bastò per spingerla verso la porta avversaria. Così la sfera finì per varcare lentamente la linea di porta e lo stadio scoppiò in un boato pazzesco.

Oppure quando a Siena i rossazzurri strapparono un punto preziosissimo proprio al fotofinish. Mischia incredibile in area di rigore, batti e ribatti sugli sviluppi di un calcio piazzato, poi il pallone se lo ritrovò fra le gambe Silvestri, che mise in mezzo un filtrante per la deviazione vincente di Giorgione. Gioia enorme per tutti quanti, intera squadra che corse ad abbracciarlo. Quella sera persino Pantanelli scattò dalla sua porta fino ad attraversare tutto il campo pur di rincorrerlo insieme agli altri compagni. Ma che bellezza quei ricordi.

Corona ci piaceva perché era bomber da trasferta. Nelle partite difficili, in cui il Catania soffriva e faticava, lui sapeva trovare il guizzo necessario a far vincere i suoi. Anticipo del sabato sera al “Granillo” di Reggio Calabria, cross in mezzo di Baiocco e sinistro ad incrociare del Re per fregare Pelizzoli. Un gol che arrivò nel momento più critico per gli etnei, ma che alla fine ci donò un’altra serata magica.

Quell’anno a Siena lo maledirono, non ho alcun dubbio. Ancora gol al ritorno, più o meno come all’andata: era messo lì davanti la linea di porta e doveva soltanto correggere in rete la palla vacante nell’area piccola difesa dal portiere. Un gioco da ragazzi, proprio come contro l’Inter, sempre su campo neutro figuriamoci, mai sia che il Catania potesse non pagare anche per colpe non sue. Marcatura insufficiente a riaccendere i sogni di gloria, ma sinistro diretto all’angolino sul quale Julio Cesar non poté nulla.

Una singola stagione con l’elefante per stemma al petto, tuttavia Corona lasciò il segno dimostrando tutta la sua forza e la sua caparbietà nell’andarsi a prendere una maglia da titolare in Serie A, soprattutto perché lo fece esattamente nel momento in cui il calcio di solito comincia a chiudere le porte ai giocatori che ormai sono di età avanzata. Ma non fu così per lui, non anche quella volta perlomeno. Perché lui era un giocatore infinito, esempio vivente di chi non smette di credere mai nei propri sogni, amuleto da esibire per quando le cose si fanno difficili. Pertanto lunga vita al Re, in eterno.

Federico Fasone

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