TI RICORDO ANCORA – EL MALAKA ME ENCANTÓ
Ricordo ancora bene la prima volta che lo vidi scorazzare su un campo di calcio. Si tornava al “Massimino” dopo sette interminabili mesi di squalifica per quel maledetto 2 febbraio. Finalmente eravamo di nuovo a casa nostra, mentre la temperatura dello stadio era bollente, tanto che volevamo scorticarci la pelle per il caldo indicibile che c’era nell’aria… e poi quella partita mica ci aiutava.
Era tutto dannatamente noioso: dopo quell’attesa infinita non meritavamo assolutamente di tediarci così, eppure il Catania non riusciva proprio a scrollarsi lo 0-0 di dosso. Poi però qualcosa cambiò, perché qualcuno ci risvegliò improvvisamente dal torpore.
Cinquantacinque minuti sul cronometro, ecco che in campo fece il suo esordio in Serie A l’uomo venuto dall’Uruguay. Jorge Martinez era la nuova scoperta dal Sudamerica di Lo Monaco, ecco perché eravamo tutti curiosi di vederlo all’opera. Serviva qualcuno che desse un po’ di brio alla manovra offensiva, uno che fosse in grado di saltare l’uomo e nel contempo farci divertire. Così gli fu affidato il pallone dai compagni e lui cominciò a far ballare il valzer ai difensori del Genoa. Li faceva talmente ammattire che ad un certo punto probabilmente finiva per confondere pure sé stesso. Doppio e triplo passo, mezzo tocco d’esterno e poi finta di corpo e di piede a far girare la testa agli avversari. I nostri occhi rimanevano incollati su di lui, che sicuramente era fin troppo innamorato del pallone, tant’è che a volte perdeva l’attimo fuggente, magari per lanciare a rete un compagno o più semplicemente per provare a pungere.
Ma era solo l’inizio, si scorgeva già qualcosa di fantastico in quel giocatore, bisognava dargli soltanto il tempo necessario per ambientarsi al meglio in squadra, in modo da prendere confidenza coi ritmi del campionato italiano. Ci mise soltanto qualche altra partita, poi alla quinta giornata cominciò a rallegrarci.
Catania-Empoli, primi tre punti casalinghi conquistati grazie ad un suo provvidenziale gol: lancio di Tedesco da metà campo, stop a seguire aiutandosi presumibilmente con la parte alta del braccio e mezz’acrobazia per spedire il pallone nel sette. Nella gara successiva, inoltre, mostrò per la prima volta la sua grande capacità di andare a segno di testa, che peraltro si trattava di una roba alquanto singolare per un giocoliere come lui. Direttamente in casa del Milan, Spinesi si trovò di fronte a Kalac e, dopo non essere riuscito a superarlo, pescò l’accorrente Martinez sul secondo palo, fresco fresco di ascensore per salire in cielo. Tante capocciate si tramutavano in gioia per i tifosi, aveva uno stacco aereo degno di un centravanti e tutto questo era straordinariamente insolito. Si ergeva in alto, restava sospeso e poi sferrava il colpo implacabile.
Da quel momento in poi, spazio aperto a tutte le specialità del suo repertorio. Come non ricordare il suo primo gol nel derby, contro quei rosanero che erano spesso vittime sacrificali quando ce l’avevano davanti. Colucci ricevette un pallone perso da Vargas, servì l’uruguagio di prima intenzione e quest’ultimo disegnò una traiettoria imprendibile per Fontana, destinata a concludersi all’incrocio dei pali, neanche a dirlo. Dopodiché via con la Malaka Dance, un balletto che tutt’ora facciamo fatica a non mimare ogni volta che riaffiorano ricordi legati ad un attaccante che sapeva di felicità quando gonfiava la rete.
Appunto, nel calcio i gol non vanno contati, ma semplicemente pesati. E proprio Martinez segnava precisamente quand’era necessario salvare la baracca. Secondo anno di Serie A, Catania a rischio retrocessione, sconfitta deprimente in casa contro la Reggina. Era tornato dall’infortunio e subito dopo aveva battuto il portiere ospite, ma la sua marcatura non fu sufficiente ad evitare un finale di stagione a dir poco drammatico. Rossazzurri obbligati a fare punti contro Juventus e Roma, prima in Piemonte e poi in Sicilia. Stadio Olimpico di Torino, laddove il Malaka aveva già trovato la via della rete rimettendoci persino una caviglia contro i cugini granata, ma stavolta c’erano i bianconeri davanti. Ancora mi chiedo con quale parte precisa del corpo avesse toccato quel pallone, però evidentemente la voglia di salvare il Catania era talmente tanta che non si fece problemi ad entrare in porta tutto intero purché la palla varcasse la linea.
Una settimana più tardi il suo peso specifico aumentò enormemente. Era la partita più importante di tutte, perché perdendo si sarebbe andati dritti in Serie B. Tiro al piattello per tutta la ripresa, svantaggio che sembrò ormai irrecuperabile, poi però il sorriso di nuovo sui nostri volti: traversone di Stovini, palla sui piedi di Morimoto, batti e ribatti in area di rigore e infine il tap-in vincente di Jorge. Braccia distese e sapore di miracolo ai piedi del vulcano: Catania salvo per il secondo anno di fila.
Ma la vera consacrazione giunse quando gli etnei furono costretti ancora una volta agli straordinari, con l’aggravante di aver cominciato malissimo il campionato con Atzori in panchina. Erano tempi bui, la formazione che scendeva in campo era timida e impacciata, addirittura insicura quando c’era invece da uscire fuori gli attributi e lottare. Tuttavia il primo successo ai suoi lo regalò proprio l’uruguaiano contro il Cagliari. Colpì la sfera con quella zucca che dentro aveva polvere da sparo, mica semplicemente sale. Fu finalmente vittoria, anche se lui in precedenza aveva già provato a trascinare i compagni, nel match interno contro la Lazio, quando s’inserì eccellentemente, tagliò come il burro la retroguardia biancoceleste e bucò l’estremo difensore con un destro forte e preciso sotto la traversa.
La stagione di Martinez quell’anno fu tutta un continuo crescendo: la doppietta tanto bella quanto inutile nello scontro diretto col Siena, il rigore della storica vittoria in casa della Juventus, il gioco di gambe e piazzamento in area del Parma e la serpentina infermabile ai danni del Bari. Il Malaka aveva ormai raggiunto la propria personale consacrazione in massima serie, guadagnandosi gli occhi più indiscreti delle grandi. Eppure il bello doveva ancora venire…
12 marzo 2010, primo anticipo del venerdì sera nel campionato italiano. Concetto di apoteosi al termine di una rimonta spettacolare contro quelli che di lì a poco si sarebbero laureati campioni d’Europa. Inter di Mourinho umiliata sotto i colpi di Maxi Lopez, Mascara e… ovviamente Martinez. Gara definitivamente chiusa da quella sgroppata pressoché infinita partendo dalla fascia sinistra. Difesa nerazzurra praticamente ridicolizzata dalla genialità del 25, che affondò la corsa mandando Lucio a riflettere sulla propria vita, mentre Materazzi si limitò a guardare quel capolavoro a debita distanza. Opera bellamente conclusa quando pure Julio Cesar in uscita non poté nulla per bloccare la sua
cavalcata inarrestabile. Quello fu l’ultimo gol col Catania, eternamente indimenticabile.
Nonostante tutto, il ricordo più vivido che ho di lui è un altro, fotografia di quello che è stato e che poi purtroppo non riuscì a diventare più. Non si tratta di un gol, ma di uno scatto a dir poco devastante, a riprova che lui al Palermo sapeva fare male anche quando non siglava la marcatura. Spostamento veloce, andatura fulminea, difesa frantumata in mille pezzi; poi pallone in mezzo per Maxi Lopez e ciao ciao aquile. Il punto è che lui in quella corsa fino a fondo campo ci aveva messo tutto: testa, cuore, anima e gamba, dato che da quella sera proprio l’arto inferiore non gli diede più tregua per il resto della carriera.
Quindi lasciate perdere chi vi dice che Jorge Martinez costituisse un pacco truffaldino, perché lì è esclusivamente l’invidia a parlare. Dalle parti di Torino nessuno ha mai visto quel campione sorridente che invece sapeva farci sognare eccome, perciò resta soltanto una cosa da dire: encantado para siempre, El Malaka. Niente di più.
Federico Fasone