UNA CITTÀ DI NUOVO IN PIEDI
Una macchia indelebile intrisa di pregiudizi. A partire da quel maledetto 2 Febbraio 2007, un inevitabile quanto duro processo mediatico ha diffuso nell’opinione pubblica un’immagine poco edificante del tifoso catanese. Da quel momento, diveniva quasi naturale identificare come delinquente chiunque dichiarasse di tenere ai colori rossazzurri e, magari, di essere abituale frequentatore del “Massimino”. Ma, come ormai noto, il catanese può contare su un’invidiabile predisposizione a rinascere proprio dai momenti di maggiore difficoltà. Come se nel DNA di ognuno fosse inciso quel “Melior de cinere surgo” riportato a chiare lettere sulla Porta Garibaldi (il Fortino).
A partire da quella data, infatti, a dispetto dei pregiudizi, la tifoseria etnea ha dato vita ad una sorta di processo di riscatto sociale. Sporadici e isolati gli episodi di violenza. Uno stadio – il “Massimino” – che giunge ad essere considerato uno tra i più sicuri d’Italia. Un processo di maturazione che porta ad un cambio di atteggiamento anche nei confronti della squadra. Nelle ultime due stagioni – quella della retrocessione e la “comparsata” in Serie B dello scorso anno – la piazza non ha mai fatto mancare il proprio sostegno a giocatori e società.
Una drastica inversione di tendenza; soprattutto se si rievocano episodi di anni orsono, quando bastava una sconfitta per 1-3 in casa contro il Giulianova per ritrovarsi con i seggiolini della Tribuna A lanciati sul terreno di gioco. A proposito di quanto affermato, qualche giorno addietro, il patron del Messina Natale Stracuzzi ha raccontato un aneddoto, apparentemente irrilevante, che in realtà rafforza ulteriormente questo processo di riscatto della tifoseria etnea. Egli, in particolare, rievoca un casuale incontro avvenuto sul traghetto con una rappresentanza di sostenitori rossazzurri. Queste le sue parole riportate su Facebook: “Dal rientro da una trasferta, sul traghetto per far ritorno a Messina, i miei collaboratori mi dissero di restare chiuso in macchina perché sulla stessa nave c’erano i tifosi del Catania. Mi dissi: di cosa dovrei aver paura? Scesi, andai incontro, mi presentai e parlammo di calcio per tutta la traghettata: erano felici loro, lo ero di più io. Il calcio deve unire le tifoserie, è solo un sport”.
E, se certamente non è tutto oro quello che luccica, non si può non ammettere che fino a un decennio addietro nessuno avrebbe mai creduto ad un simile fatto. Un muro – quello della violenza – che pian piano sembra sgretolarsi di fronte ad un urlo che rivendica un calcio fatto di sportività, dove la rivalità è limitata ai 90 minuti di gioco.
Antonio Longo