MESSINA, LE ORIGINI “BUDDACI”
Tempo di derby, quello verace, quello “sentito”, per la compagine rossazzurra che, dopo aver pareggiato al Massimino nel derby “minore” contro l’Akagras, si appresta a sfidare un’altra nobile decaduta del calcio siciliano, il Messina guidato da Arturo Di Napoli. Da una parte il quadro calcistico e sportivo che risulta a tinte fosche; ma è chiaro che le due città meriterebbero palcoscenici ben più prestigiosi rispetto alla Lega Pro e la rivalità tra tifoserie opposte è un buon pretesto per sviscerare a fondo sfottò e soprannomi che riguardano per lo più i “buddaci” messinesi.
Ma perché i tifosi del Messina hanno tale appellativo? Qual è il significato che si cela dietro questo soprannome così effimero? Il “buddace”, in italiano denominato sciarrano, è un pesce caratterizzato da un corpo minuto e snello, da una testa molto grossa e da una bocca ampia. In particolar modo questo pesce si aggira per i fondali con la bocca sempre aperta, capace di inghiottire di tutto, sempre in cerca di cibo, vivendo – come si suol dire – alla giornata. Queste sue caratteristiche, negli anni, hanno identificato i cittadini messinesi come creduloni o come persone che non fanno altro che parlare senza però dar seguito alle parole. Spesso, a Messina (ma non solo), si sente dire «Ma quantu parri. Si viri ca si nu buddaci!». Gli abitanti dello stretto, dunque, vengono considerati, secondo la cultura popolare siciliana, delle persone che parlano a vanvera con arroganza senza accompagnare i fatti alle parole. Persone che si riempiono la bocca di meriti, ma che in realtà abboccano facilmente a qualsiasi diceria corrente. La metafora non è solo frutto di legende popolari, ma trova riscontro anche nella facciata di palazzo Zanca, sede del Municipio di Messina, in cui tra le varie icone raffiguranti la simbologia messinese vi è proprio quella del pesce “buddace”.
Dando la giusta considerazione ad una diceria, il “buddace” negli anni è stato anche molto altro. Ad esempio, è stata una rivista giornalistica libera e indipendente che durante il periodo fascista venne censurata per il suo carattere libertino, appunto. Senza voler nulla togliere alle bellezze architettoniche civili e religiose di Messina, riportiamo alcuni passi di una poesia popolare che ci parla proprio dei cosiddetti “buddaci”.
C’è un omu ò munnu, tantu bommagaru
chi nominatu fu lu “’bbuccazzaru”!
parra,‘nfirucìa e ‘mmustra i denti
ma poi, ‘n sustanza, non cummina nenti.
Sìculu di razza o pì pritisi,
‘u titulu v’u dici, è ‘u “missinisi”,
stimatu pù so’ sali ‘ntra la ‘zzucca,
ma criticatu p’a lagghizza’i bucca.
Ma, ‘a definizioni ‘cchiù veraci
fu quannu ‘u defineru ‘u “buddhaci”!
Adriano Nicosia
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