“SQUADRA ANTIMAFIA”: IL MAFIOSO NON È ROSSAZZURRO!
La televisione dovrebbe veicolare un messaggio positivo, una morale ed abbattere quei muri costruiti dai luoghi comuni. Ciò che accade, invece, è l’esatto contrario. Per lo meno quello che si è visto in uno degli episodi della serie “Squadra Antimafia”, trasmessa sulla rete Mediaset.
La settima stagione è ambientata a Catania, così come le tre precedenti, e nel corso del terzo episodio accade ciò che non dovrebbe mai accadere: durante un interrogatorio l’ispettore Vito Sciuto interroga un “picciotto” di un clan catanese. Fin qui nulla di strano se non fosse che il delinquente indossi la maglia rossazzurra del Calcio Catania, con tanto di stemma in bella vista.
Premettiamo che, trattandosi di un film, la narrazione dei fatti è assolutamente casuale e nata dalla fantasia degli autori, e chi scrive lo sa bene. Ma chiunque sia dotato di un pizzico di buon senso sarebbe in grado di capire che lo stereotipo utilizzato è tutt’altro che azzeccato. La società odierna è alimentata da luoghi comuni poco piacevoli, soprattutto per i siciliani. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo “Sicilia” equivale a “mafia”, il siciliano viene visto con disprezzo, con paura, viene evitato perché portatore di chissà quali mali.
Con riferimenti calcistici, la situazione non migliora: ogni scusa è buona per tirar fuori le immagini degli scontri del tragico 2 febbraio 2007 fuori dallo stadio “Massimino”, nonostante da quel lontano giorno il pubblico catanese non sia stato più coinvolto in episodi analoghi. Perché, quindi, mettere in scena un mafioso con la maglia di una squadra? Si ricorda che scene simili si erano viste anche nelle stagioni della stessa serie tv ambientate a Palermo, ovviamente con i colori rosanero. Sembra che la produzione abbia semplicemente preso un simbolo di ogni città per farne un mezzo di diffamazione della città stessa e di chi in quella città vive.
In realtà a Catania, così come a Palermo e in tutte le città del mondo, i colori e i vessilli locali sono motivo di orgoglio e di vanto, indossati da bambini quando si gioca a pallone in cortile o da adulti quando si va a sostenere la propria squadra allo stadio; sono appesi nelle camere dei tifosi o impressi sulla pelle dei fanatici, sicuramente non indossate dai “picciotti” durante un interrogatorio.
Insomma, chi ha buon senso dovrebbe dimostrarsi indignato, soprattutto quando si accosta lo sport alla malavita, poiché lo sport dovrebbe essere aggregazione, educazione e legalità. Una denuncia sociale va accompagnata dalla speranza di non dover vedere più scene del genere e magari – chissà – che al prossimo interrogatorio venga fornito un nuovo “outfit”!
GUARDA IL VIDEO DELLA MAGLIA ROSSOAZZURRA A SQUADRA ANTIMAFIA
Giuseppe Mirabella