TI RICORDO ANCORA – IL SORRISO PIÙ BELLO

Probabilmente le storie più emozionanti sono quelle di chi non per forza ne sia il protagonista assoluto, ma che è comunque disposto a diventarne improvvisamente l’eroe, di cui naturalmente non si può fare a meno, purché si possano concludere col finale che tutti vorremmo. Quante squadre hanno avuto in rosa giocatori pressoché insostituibili, che portavano a casa decine e decine di vittorie in campionato e che poi sicuramente sono gli stessi che ancora oggi vengono ricordati più di tutti per le loro preziose giocate? Ecco perché poi si fa fatica a rendere il giusto tributo a chi magari è rimasto sempre in secondo piano, eppure ha dato l’anima affinché il Catania potesse tornare in alto, a tutti i costi.

Ad essere sinceri, che Umberto Del Core fosse l’uomo del destino dovevamo immaginarcelo già da quella volta in cui all’andata aveva impedito ai rossazzurri di tornare sconfitti dalla Lombardia. A Bergamo, in casa dell’Albinoleffe, si era trovato al posto giusto nel momento giusto: respinta del portiere su una torsione di Mascara e palla che rimbalzò sul petto del numero 11 per poi insaccarsi in rete. Delirio davanti la TV, era il 94′ di gioco, l’arbitro aveva già il fischietto in bocca per decretare la fine e così fu evitata la sconfitta proprio nell’ultimo impegno dell’anno 2005.

La cosa più curiosa è che il 2006 cominciò praticamente alla stessa maniera, nel segno di Del Core appunto. Gli etnei affrontavano il Piacenza al “Massimino” in una partita a dir poco incredibile. Letteralmente al cardiopalmo fu quella storica rimonta dopo il gol subito da Cacia, quando il Catania sembrava spacciato fino all’85’, ma invece ci mise ben tre minuti a ribaltare il risultato, per poi riuscire addirittura a vincere 3-1 nel recupero. E indovinate chi quella volta permise tutto ciò? Semplice, sempre il ragazzo nativo di Bari: era lì nei pressi dell’area piccola monitorata dal portiere e colse il pallone che, dopo essere stato ribattuto dal palo su un calcio di punizione di De Zerbi, carambolò sullo stinco di un difensore piacentino e fu corretto in rete proprio da lui. Anche in quel caso la conseguenza fu la medesima: maglia immediatamente via di dosso ed esultanza da pazzi sotto la curva.

D’altronde Del Core festeggiava sempre così. Non segnò molti gol col Catania, soltanto quattro ad essere precisi, però furono sicuramente uno più pesante dell’altro. Ne abbiamo menzionati soltanto due per adesso, quindi se la matematica non è un’opinione ne mancano altrettanti da ricordare. Prima di farlo però ci teniamo a porvi una domanda: cos’hanno in comune tutte queste reti? Tranquilli, non vogliamo la risposta subito, ci basta sapere che anche voi siate effettivamente convinti che il destino abbia volutamente creato un intreccio fra la carriera di Del Core e la storia del Catania. E non poteva essere altrimenti.

Un indizio ve l’abbiamo dato già: è stato l’ultimo a segnare e poi il primo a fare la medesima cosa a cavallo tra il 2005 e il 2006. Tutto ciò a riprova del fatto che evidentemente dovesse essere lui il prescelto, principio ed epilogo di un’intera trionfale stagione. Quella cominciata con un auspicabile sogno di gloria e persino culminata in vera e propria apoteosi.

Esordio indimenticabile nel proprio stadio, calcio champagne contro il Brescia. Un successo firmato De Zerbi, con una punizione pazzesca, ma soprattutto Del Core: azione insistita nell’area avversaria e semirovesciata dell’attaccante pugliese. Primi tre punti in cascina, vittoria che in qualche maniera preannunciava che quel campionato potesse essere finalmente quello decisivo, dopo tanti, tantissimi anni dall’ultima volta.

Ma soprattutto Del Core… l’abbiamo detto. Ecco allora che occorre immediatamente catapultarsi all’ultima giornata, ancora contro l’Albinoleffe. Era il ritorno di quella partita da cui il Catania uscì indenne proprio grazie a lui, però in quel preciso momento la necessità era un’altra, dannatamente un’altra. Bisognava assolutamente vincere, serviva un’ultima strabenedetta gioia perché quella squadra potesse entrare definitivamente nella storia. Il sole era cocente, eppure sul “Massimino” si era abbattuto un gelo micidiale. La rete del pareggio degli ospiti dopo il vantaggio di Spinesi aveva fatto venire i brividi a tutti i tifosi di casa. Ma quella sensazione agghiacciante di paura in realtà durò soltanto un quarto d’ora scarso di gioco, il problema è che fu acuita dai quindici minuti d’intervallo. Ciononostante nessuno aveva perso la certezza che quella partita, in un modo o nell’altro, sarebbe stata risolta da qualcuno dei beniamini presenti in campo. Perché doveva andare così e basta.

Probabilmente la divina provvidenza esiste pure nel mondo del pallone. Per carità, nessuna blasfemia, però bisogna indubbiamente ammettere che Pasquale Marino azzeccò quello che sicuramente fu il cambio più importante della sua vita da allenatore. Fuori Orazio Russo, troppo emozionato per quel giorno probabilmente, e dentro Umberto Del Core. Passarono soltanto otto minuti, poi esplose il delirio più incredibile che io ancora ricordi.

Il Catania aveva già cominciato il proprio assedio verso l’area di rigore degli orobici. Loro non prendevano mai la palla, perché ce l’avevano sempre i rossazzurri fra i piedi. Se ne stavano semplicemente rintanati nella propria metà campo, sperando di riuscire a rovinare la festa ai padroni di casa. Questo però non poteva assolutamente accadere, infatti sono proprio convinto che quel gol ancora oggi rappresenti essenzialmente l’obiettivo che raggiunge soltanto chi nella vita non smette mai di crederci.

Mascara partì dalla sinistra, si accentrò e, dopo un veloce scambio col compagno, fu steso al limite dell’area. Ci si aspettava che l’arbitro fischiasse il fallo, ma non lo fece e, nonostante la confusione generale che si era ormai venuta a creare in quella zona di campo, gli etnei continuarono comunque a giocare. Nessuno si fermò, in qualche frazione di secondo la sfera finì a Caserta, che senza ragionare troppo la lanciò quasi all’altezza del dischetto. A distanza di anni posso tranquillamente riconoscere che si trattasse di una pallaccia, buttata lì a caso nella speranza che potesse succedere qualcosa d’indefinito in area di rigore. Il punto è che proprio in quell’istante i pianeti si allinearono, infatti la difesa fu presa in controtempo e il portiere uscì in ritardo. L’unico a crederci fu Del Core, che provò goffamente ad arpionare il pallone, in un primo momento fallendo nel tentativo, ma riuscendo a toccarlo subito dopo con l’altro piede e, lemme lemme, si depositò in rete. Era tutto regolare, quello era il gol che valeva la Serie A.

Dopodiché presi parte ad uno spettacolo per sempre irripetibile: uno stadio che abbraccia un singolo calciatore. Tutti lo rincorsero finché lui non si fece acchiappare, poi lo strinsero più forte che poterono quasi a volergli togliere il fiato. Se ne avessero avuto la possibilità, scommetto che gli avrebbero eretto un monumento nel bel mezzo del campo. Mancava ancora mezz’ora abbondante alla fine dei giochi, però in realtà si sapeva che l’impresa era già stata compiuta. La storia era ormai scritta.

Così il suo sorriso era il mio, il loro era il nostro. Era quello di un gruppo storico, era quello di una città intera che tornava nell’Olimpo del calcio. Era semplicemente il sorriso più bello, lo stesso che spunterà sul nostro volto ogni volta che ripenseremo a quel pomeriggio meraviglioso, senza cessare mai di esistere, da quel singolo istante e per l’eternità.

Federico Fasone

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