Lo striscione della vergogna

Tra società in fallimento e atti di vero e proprio teppismo che hanno coinvolto di recente la capitale, non sono mancati episodi di razzismo.

Ciò è accaduto durante l’ottavo di finale di Champions League, tra Juventus e Borussia Dortmund. “L’amico del mio nemico è mio nemico” così recitava lo striscione esposto, con pesanti offese rivolte alla tifoseria etnea e partenopea, ree di essere gemellate con i supporters tedeschi, una delle curve più pirotecniche e spettacolari nel mondo.

È  così utopico nel 2015 pensare di estinguere definitivamente il razzismo dagli stadi? La società, come ha permesso di far entrare quello striscione in curva, creando danni di immagine a se stessa e al calcio italiano in generale?

Evidentemente i tifosi hanno una cultura ancora troppo arcaica per confrontarsi con le più avanzate realtà europee, perché una curva si distingue per le coreografie, per l’apporto costante nei 90 minuti che si da alla squadra nel condurla alla vittoria; di certo non per volgarità e offese gratuite verso i propri connazionali.

Esempio lampante di “curva modello” è proprio quella del Borussia Dortmund. Stadio sempre pieno, anche quando la squadra si trovava impelagata nei bassi fondi della classifica, e curva sempre gremita. Negli ultimi anni, inoltre, si sono intensificati i rapporti con le tifoserie di Catania e Napoli, con numerose presenze di ultras siciliani e campani nella “South Tribune” del Westfalenstadion.

Per essere i migliori occorre imparare dai migliori e cambiare radicalmente la cultura intrinseca nel nostro marcio sistema calcistico, che ancora una volta ne esce sconfitto.

 

Dario Marchese

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