CATANIA, SERVE UNA FIGURA CARISMATICA

“La prima cosa che ti insegnano al corso di Coverciano è che quando diventi un allenatore sei solo e con la valigia in mano”. Così si espresse Massimiliano Allegri durante una delle sue ultime conferenze in forza al Milan prima di trovare riscatto con i colori bianconeri. Questo dicktat divenuto ormai un concetto risaputo è diventato condizione imprescindibile per chi fa di questa professione il suo mestiere.

L’ultimo a farne le spese in ordine cronologico è stato l’allenatore del Catania Pippo Pancaro. Impeccabile professionista in campo, da allenatore, invece, poteva dare di più. A far discutere non sono state solo le scelte tecniche, ma per lo più un atteggiamento che dovrebbe essere insito in un allenatore, complementare alla sua attività e che invece è del tutto mancata. Stiamo parlando della carenza di comunicazione, di leadership e di comunicabilità in senso stretto. L’ex difensore della Lazio non ha saputo imprimere quella verve, quell’energia e quella spinta che va oltre i moduli tattici e le strategie di gioco. Quando si esauriscono i moduli tattici, che di per sé danno già l’idea di un allenatore ancora non pronto, bisogna far breccia sull’emotività dei giocatori, sulla loro voglia di dimostrare, scandagliando dentro il loro animo per tirar fuori tutte le motivazioni possibili per far capire che la casacca rossazzurra non è mica una maglia qualsiasi, ma anzi Catania è piazza di grandi tradizioni.

Ciò che è mancato a Pancaro è stata l’assenza di un sodalizio con la piazza, inteso sia sotto l’aspetto della relazione con i media che con i tifosi stessi, al di là dei risultati. Troppo laconico e schivo davanti alle telecamere e spesso ripetitivo. I migliori tecnici al mondo non sempre sono stati dei grandi strateghi, anzi l’aspetto tattico non è mai stata una componente fondamentale: è indubbiamente importante, ma mai determinante.  A supporto di tale osservazione, pescando dal mondo dei grandi coach, allenatori come Claudio Ranieri hanno sempre sostenuto e portato avanti l’idea della  gestione del gruppo prima di tutto, del lavoro di squadra dove l’orgoglio e l’appartenenza ad un gruppo che vive per gli stessi obiettivi è il volano che decide le partite e getta il cuore oltre l’ostacolo. È ciò che, ad esempio, sta accadendo in Premier League con il Leicester, dove un attaccante di nome Vardy, che fino a poco tempo fa giocava tra i dilettanti, sta vivendo un grande sogno. E poi ancora Mourinho, re della comunicazione e della leadership non è mai stato un maestro di tattica, ma bensì abile gestore di gruppi dai nomi altisonanti, attento nel mantenere saldi i rapporti nello spogliatoio e maestro nella relazione con i media dai quali ha, probabilmente, costruito il suo successo.

E poi ancora Lippi che ha dichiarato in tempi recenti che la sua nazionale campione del mondo a Berlino non vinse perché fosse la più forte in assoluto, ma perché la compattezza del gruppo e la fratellanza che si respirava in quelle giornate mondiali fu la vera spinta che portò al successo. Di questo è molto altro deve essere il ruolo del tecnico. Pancaro, al contrario, è stato reo di non aver costruito e tessuto un rapporto saldo con la stampa e con la tifoseria. In una piazza come Catania serve chiarezza, i tifosi hanno sete di conoscere ciò che accade all’interno di un ambiente che di per sé è fin troppo chiuso.

Non è sufficiente avere un patentino per sedere su una panchina, ma un complesso di credenziali che spazino dall’aspetto tattico al carisma, dalla leadership alla comunicazione e infine, ma non per importanza, dal rapporto che si instaura tra allenatore e città, scintilla che non è mai scattata con i supporters etnei.

A breve la società annuncerà il nome del nuovo tecnico, ma ciò che serve a questo punto della stagione è proprio il carattere, la grinta e la determinazione per evitare di rimanere invischiati nel tunnel della retrocessione. I profili che sono stati individuati, forse, potrebbero essere quelli giusti, ma ancora non ci sono certezze a riguardo.

Adriano Nicosia

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